Le lancette dell’orologio appeso al muro avevano iniziato a girare in modo frenetico, alzando, come un amplificatore, il lub dub nel petto di Arianna.
Martina pensava a quando le lancette si sarebbero unite in prossimità di quel dodici scritto in caratteri romani. Provava a riempire di immagini i secondi subito dopo, e le diapositive che scarrellavano proiettavano sulle pareti del suo cranio scenari contrastanti.
Avevano deciso che quello sarebbe stato il momento giusto. Il punto da cui rinascere. La loro promessa di salvezza.
Avevano come un plurale maiestatis: senza consultarsi si erano fatte l’una plurale dell’altra, ma per quanto si possa sentirsi in due, dentro, nel profondo, tra le ansie, le paure, le botte di adrenalina, la messa in opera di cumuli di serotonina, ossitocina e dopamina, non ci sono compagn* di viaggio. Con le emozioni ci fai i conti in solitaria, anche con una mano sulla spalla o dentro un abbraccio. E immaginarsi quando le lancette stanno lontane, non si sfiorano, negli sguardi quasi si sfuggono, verità senza replica, con il cuore che non dà resto e un pensiero che non si svende al banco dei pegni.
Dentro quel plurale solitario coprivano la distanza che le divideva da quella nascita che si rinnovava da più di duemila anni.
Arianna non aveva mai avuto coraggio e nel petto portava le cicatrici che lasciano le decisioni rimandate, le parole non dette e i biglietti non obliterati. Credeva che un filo rosso un giorno le avrebbe catapultato addosso la felicità e aspettando che accadesse era rimasta ferma, accettando quello che riusciva a raggiungerla. Troppo poco mondo, troppa poca vita, troppo poca felicità pendeva da quel filo e allora si era decisa finalmente. Funambola in viaggio verso un destino da prendersi a due mani, magari saltando pure su un altro filo, di un altro colore.
Martina non credeva ai miracoli, alle profezie, ai voti, se non quelli da 1 a 10, anche se oltre il 2 e l’8 pensava fossero inutili forzature. Non credeva nemmeno che strofinando le estremità tagliate dei cetrioli si togliesse l’amaro, che per le cose belle fosse sufficiente pensare positivo. Ma ad ogni giro di lancetta interpellava un non so chi barbuto, una volta vestito di rosso e l’altra con una tunica bianca, sperando che cogliessero il suo appello.
Erano sotto l’orologio, Arianna le ore e Martina i minuti, un ultimo passo in avanti le aveva portate nell’ora zero, con le mani piene di attesa. I Lub dub scarrellavano immagini sull’invisibile lancetta dei secondi:
– Pensavo che…
Arianna raccolse la sua mano sinistra poggiandola appena sopra il suo seno: Lub Dub.