Questa è una storia da dimenticare, è una storia da non raccontare, è una storia un po’ complicata, è una storia sbagliata.
È la storia di Bicio emerso dal mare, tanti granelli di polvere asciugati al sole. Granelli sdraiati che si confondono con la sabbia. Iniziati dalla fine, dalla punta delle dita, là dove in qualche modo incomincia una chitarra, e diventati persona. Bicio viaggia, tra i caruggi, i porti, le creuze, le storie e le persone, che quelle storie tengono attaccate alla pelle come toppe alla loro fragilità. Viaggia per la stessa ragione del viaggio, dice, sempre in direzione ostinata e contraria.
Di mestiere pulitore, Bicio è un gran pittore, architetto e scultore. Pulisce lo sporco, scalza il marciume, lava via il fango e tratta gli odori con secchiate di parole e bocca di rosa. Prende le storie, con dentro le persone, e le stende all’aria per farle asciugare da un nuovo sole. Ma voi ve la immaginate tutta quella gente appese alla corda di una chitarra a mettersi la crema solare per non bruciare e a farsi docce di parole? E come le tratta, Bicio. Invitate d’eccezione al matrimonio delle note. Giornate intere a scegliere i posti a sedere per ognuna di loro, perché non sia mai che possano stonare, annoiarsi o sentirsi fuori luogo.
Bicio prende le storie da non raccontare, le storie sbagliate, da dentro un fosso e le rimette apposto. Non è che proprio le aggiusti o ci metta una toppa, lui mette a mollo il dolore e al posto di mostri, sbagliati e emarginati ci mette persone, tutte in fila, in accordo, perché non ci sono note più nobili di altre, ma solo corde da pizzicare per far nascer canzoni.
Ha sempre appresso uno spruzzino d’ironia e pastelli colorati, perché le storie, si sa, il bianco e nero non le possono raccontare, e senza sorrisi, anche se amari, le lacrime finiscono presto e rimane solo una gran siccità.
Bicio ha scoperto il trucco per entrare nelle storie, da bambino.
Mentre nonna Luisa e nonna Vittoria litigavano per raccontargli la più bella, lui sperimentava e un giorno, per caso, su un pavimento bagnato di vita, swoosh, c’è finito dentro. Alle volte per nascondersi, per non farsi vedere, altre, invece, per paura di perdere qualcosa, di lui e delle storie.
Una volta dentro, però, si diverte, le taglia a pezzetti da far raccogliere al vento e ricucire dal regno dei ragni. Prende quella s, piccola piccola, e la gonfia con gote paonazze, un artista di strada in mezzo alla piazza davanti a bambini entusiasti, e la rende Princesa, un nome squillante di luce.
Bicio non ha paura delle parole sconvenienti e grevi, le usa tutte senza pudore, che quello (il pudore) acceca gli occhi dei vili che confondono soldi, sottane, sciagure e onori.
Non teme neanche la morte, che della vita è consorte e fan l’amore ogni ora tra strofe di saffo e un vicoletto nefasto.
Bicio è terra e polvere, silenzi e musica, la solitudine degli ultimi e dei poeti. Bicio è Faber, Fabrizio, il falegname di parole che ci ha insegnato l’alfabeto dell’amore.